
Concretamente, come risaputo, la legge (n.633/1941, Dpr 19/79 e Dlgs 154/97) prevede la distinzione delle immagini fotografiche dividendole in “immagini creative” e “semplici fotografie.
Dato che fra “immagini creative” e “semplici fotografie” non è stata tracciata (né può esserlo) una netta linea di demarcazione, per ogni singola fotografia occorrerebbe valutare se esista effettivamente una componente caratteristica non tanto della abilità e capacità professionale del fotografo, quanto del suo apporto creativo, inventivo. Occorre, in pratica, che sia possibile dimostrare che l’immagine contenga elementi di interpretazione creativa, e non solamente di abilità tecnica.
La legge, infatti, prevede che la citazione dell’autore sia obbligatoria (art. 20 della legge 633/41 per come modificata da Dpr 19/79), ma solo nel caso dell’immagine creativa. Se l’immagine è di questo genere, il nome dell’autore va citato in ogni caso, anche quando il cliente abbia sostenuto tutte le spese di realizzazione, ed il fotografo abbia venduto tutti i diritti di sfruttamento. Se, invece, si è dinanzi ad immagini non creative, l’obbligo alla citazione dell’autore non sussiste mai, ad eccezione di espliciti accordi scritti in tal senso.
E stato con l’aggiornamento della Legge (di per sé datata 1941) che, nel 1979, si è conferita una maggiore dignità all’opera fotografica.
Così, grazie all’articolo 20 della Legge nella sua attuale forma, l’utente dell’immagine è tenuto ad indicare sempre l’autore di immagini creative nelle forme di utilizzo.
Non solo. All’articolo 21 troviamo un’affermazione che dà particolare forza alla posizione dell’autore; vi si sancisce, infatti, che anche a dispetto di un differente precedente accordo, l’utente della fotografia è obbligato alla citazione dell’autore, quando questi lo desideri.
L’autore ha anche il diritto di impedire modifiche ed alterazioni all’opera (art. 20).
Una puntualizzazione in questo senso. Molti fotografi suppongono di poter intervenire, in nome di questo articolo, contestando anche le minime varianti e le modifiche minori: un riquadro dell’immagine rifilandone i bordi, la cattiva stampa, il passaggio in B&N di una foto a colori, l’inserimento di un titolo.
Attenzione: la Legge indica che il fotografo può opporsi a “qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione e ad ogni atto a danno dell’opera stessa che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”.
Dunque, non contestazioni in semplici fatti minori di gusto o sensibilità: il testo parla di modifiche che possano essere lesive dell’onore o della reputazione del fotografo, non di variazioni che egli possa non gradire appieno.
Quando, invece, si sia accettata (per iscritto) la realizzazione di una modifica alla propria fotografia, non è più possibile ritrattare la concessione (art. 22).
Questi diritti, detti diritti morali, sono inalienabili.
Non possono essere venduti, non vengono ceduti con i diritti di utilizzo economico. Così, anche se il cliente avesse sostenuto le spese per la realizzazione dell’immagine, acquistato tutti i diritti in ogni campo, e fosse divenuto in tal modo proprietario dell’originale, permarrebbe sempre la possibilità, per il fotografo, di pretendere la citazione del suo nome come autore (art. 20
2.2 Cosa posso fare se il nome doveva essere citato e non lo è stato
Certamente, è giusto lamentare con l’utilizzatore la mancata citazione del nome dell’autore, ai sensi degli articoli 20 e seguenti della Legge 22 aprile 1941. n.633 (e relative modifiche apportate dal Decreto del Presidente della Repubblica n.19 del 8/1/1979, pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 30/1/1979, n.29 e, successivamente, Dlgs n. 154 del 26 maggio 1997 (attuazione direttiva 93/98/Cee), su Gazzetta Ufficiale n. 136 del 13 giugno 1997.
Va ricordato che tale obbligo di legge alla menzione del nome dell’autore sussiste solo per le fotografie di carattere interpretativo e creativo.
Al di là della formale lamentela, va valutata con attenzione quanto questo comportamento abbia potuto ledere gli interessi del fotografo. In diversi casi analoghi, il giudice si è trovato infatti nell’imbarazzo di appurare se effettivamente si potesse sostenere l’esistenza di un danno economico e – se sì – come questo potesse essere quantificato. Per essere equo, essendo il danno non accertabile nella sua esistenza e non quantificabile, il giudice tende ad imporre al cliente la pubblicazione di un “errata corrige” o comunque di una nota che rettifichi l’errore, ottenendo così a favore del fotografo un vantaggio non certo e non quantificabile, come pure non certo e non quantificabile era il danno da lui subito.
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